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Se uno non è mai stato a Wimbledon forse non può capire perché bisogna andare a Wimbledon almeno una volta nella vita. E non è una questione di tennis, non solo almeno. Sì, è vero, come dice Gianni Clerici – lo scriba italiano inserito nella Hall of fame di questo sport – “Wimbledon è il Vaticano del tennis”. E il senso è che quando entri nei Doherty Gates l’atmosfera cambia: diventa quasi sacra. E il lusso c’entra, in questi casi. C’entra perché il torneo più famoso del mondo è anche il più diverso da tutti, con le sue regole tramandate nei secoli e (quasi) mai cambiate. Il “predominantly white” per esempio, la regola per cui il bianco dei vestiti non deve essere sporcato. Tanto che perfino il suo re indiscusso, ovvero Roger Federer, è stato costretto un paio di anni fa a cambiare le scarpe che avevano le suole arancioni. E poi il fatto che non ci sono sponsor sui campi, ma solo quel viola che si confonde col verde dei prati per farne un colore indimenticabile. E poi il silenzio, l’esultanza discreta, l’eccentricità che non si ostenta, anche quando è visibile. Wimbledon insomma è l’esatta mediazione tra il business dell’era moderna e la compostezza di una volta. Perché tra i campi di Church Road non mancano le aziende – Lavazza, Jaguar, Rolex, giusto per citarne alcune -, ma le aziende sono lì, a fianco, quasi nascoste per non disturbare quello che deve essere. Ciò che deve essere Wimbledon, che oggi comincia e riporterà il tennis al centro. Riportando al centro l’eleganza in un mondo pieno di chiasso.
william&kate                       serena-williams-novak-djoko