di Elena Barassi
Uno chef , Massimo Bottura, che a 53 anni, si è portato a casa riconoscimenti da vera superstar: in vetta nella guida Espresso, con un punteggio 19.75/20 nel 2013, 3 ambitissime stelle Michelin, terzo posto nella World’s 50 best Restaurants nel 2013, International Chef of the Year da quella che è considerata la bibbia gastronomica americana, la rivista Daily Meale e vincitore nel 2014 del White Guide Global Gastronomy Award, per intenderci l’oscar della gastromomia. Lui è cresciuto con Georges Cogny, Alain Ducasse e Ferran Adrià. Il suo stile di cucina è contemporaneo, ma con lo sguardo sempre rivolto alla cucina del territorio. Lui che crede fortemente nel grande valore delle tradizioni gastronomiche italiane, che è il cultore della precisione tecnica e che ha creato nel tempo un rapporto indissolubile con i più eccellenti artigiani italiani. E che non smette mai di sognare. Perché, come lui stesso dice “Per arrivare da qualche parte nella vita devi avere un sogno. Sono quelli che ci tengono vivi dentro. Io non sarei qui, né lo sarebbe l’Osteria Francescana, se io non mi fossi tenuto ben stretto i miei sogni e non avessi fatto tutto quel che potevo per realizzarli”. Lo incontro nel suo regno, la Francescana, dodici tavoli nel cuore di Modena, il laboratorio da cui escono il tortellino inserito in una geniale capsula di brodo o l’anguilla che risale il Po. E che è allo stesso tempo un inno all’arte, con una galleria da fare invidia ad un museo d’arte contemporanea.
Tre stelle Michelin, terzo posto nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants Awardse, pure vincitore del White Guide Global Gastronomy Award. C’è ancora spazio per l’innovazione nella sua eclettica cucina?
Mi hanno chiesto “cosa c’è nel futuro di Massimo Bottura?” Io ho risposto ancora futuro.
Qual è il segreto per diventare il miglior chef al mondo?
Prima di tutto l’umiltà. Una parte di talento. Tanta energia, spirito di sacrificio. Duro lavoro giorno dopo giorno senza mai perdersi nella quotidianità. Rimanendo sempre con i piedi per terra e viaggiare, per una saggia contaminazione, una contaminazione che sia confronto, un’apertura.
Quali sono stati i suoi maestri e quale impronta hanno lasciato nel suo modo di cucinare?
Credo che essere cresciuto con l’idea che la cucina, o meglio la tavola, fosse il luogo d’incontro per la famiglia, sia stata una grande scuola. I pellegrinaggi dai grandi di allora, i Peppino Cantarelli, G. Marchesi, il San Domenico, mi hanno permesso di affinare il palato e capire che la cucina, sviluppata in quel modo, andava oltre. Professionalmente la ormai famosissima ‘razdora’ (massaia, n.d.r.) di Campazzo, Lidia Cristoni, mi ha segnato l’anima. Lo scomparso Georges Cogny mi ha dato professionalità e cuore. Ducasse ha portato pulizia, rigore e rispetto, Ferran l’apertura mentale.
Come coniuga la sua passione per l’arte con la sua cucina?
Credo che l’arte sia qualcosa di ben preciso che attiene ai più profondi bisogni umani e che costituisce il frutto di un complesso processo creativo. Io non mi ritengo un artista, e ci tengo a sottolineare questo principio, ma un artigiano capace di concettualizzare le proprie realizzazioni che nascono dall’incontro di idee, culture, tecniche e gesti. Ciò significa non caricare il nostro lavoro di eccessive aspettative, ma al tempo stesso riconoscere che non vi può essere ricerca in cucina senza la voglia di esplorare e percorrere nuove strade in un processo che può essere definito creativo: solo in questo senso si possono riconoscere delle analogie rispetto al lavoro di un architetto, un poeta o un musicista.
Qual è il piatto che ha cucinato per conquistare sua moglie, la newyorkese Lara Gilmore?
Una leggerissima vellutata di carciofi. Ci siamo conosciuti mentre lavoravamo al Cafe di Nonna a Soho, lei aveva detto che amava i carciofi, sua madre li cucinava al vapore e li serviva con una maionese, à la Julia Child, decisi di preparare una versione del piatto con un tocco di Modena per conquistarla.
La sua è anche la cucina del territorio, di Modena. Cosa si prova a sedersi a tavola all’Osteria Francescana ?
E’ un esperienza che racconta il territorio visto da 10 Km di distanza.
(Credits photo: Paolo Terzi, PM, Osteria Francescana)